Home > Notizie > Alberto Vergani (2011), Da fuori a dentro e da dentro a fuori. Welfare, lavoro e formazione nel sistema della giustizia minorile, FrancoAngeli, Milano.

Alberto Vergani (2011), Da fuori a dentro e da dentro a fuori. Welfare, lavoro e formazione nel sistema della giustizia minorile, FrancoAngeli, Milano.

Creato il:  15 Maggio 2012

Recensione di Filippo Ciucci (Università di Genova)
 
Lavoro, formazione, inclusione sociale, welfare, attivazione, sistema penale e minori. Sono queste alcune delle parole chiave del libro di Alberto Vergani che danno forma a riflessioni di particolare interesse e attualità. Da fuori a dentro e da dentro a fuori è infatti un testo che, partendo dal lavoro come opportunità di inclusione (sociale), approfondisce i sistemi di Welfare e di promozione dell’occupazione in Italia e in Europa, soffermandosi sui minori (ragazzi e ragazze in carico al sistema di giustizia minorile), soggetti segnati da debolezza e marginalità sociali e occupazionali.
Come chiarisce bene l’Autore in più passaggi (e come il titolo lascia intendere), il ragionamento segue due chiavi di lettura: la polarità fuori-dentro (con cui si fa riferimento al difficile passaggio da fuori a dentro il mercato del lavoro) e quella dentro-fuori (con la quale ci si riferisce al percorso dei minori che da dentro l’istituzione penale ne giungono finalmente fuori). Per questi ragazzi il lavoro può divenire mezzo e fine: un’esperienza di apprendimento e formazione, un momento di socializzazione, una opportunità di (ri)costruzione di senso.
 
Il volume è strutturato in tre ampi capitoli.
Il primo è dedicato a introdurre i temi del Welfare e del lavoro nelle economie capitalistiche occidentali. Le categorie utilizzate per riferirsi al lavoro (ai lavori), e che si legano anche al Welfare, sono precarizzazione, flessibilizzazione, disarticolazione, individualizzazione e differenziazione. In questo quadro l’autonomia del lavoro (rispetto ad altre dimensioni) diventa tale da essere frantumazione (individuale e collettiva) e ne deriva la conseguenza che il Welfare e i sistemi di protezione sociale devono dotarsi di dispositivi di sostegno al reddito, reddito minimo, reddito garantito, e ridefinire cosa oggi è ‘lavoro’ (p. 81).
Il capitolo propone una ricostruzione del Welfare state nel mondo capitalista, ripercorrendone approcci, modifiche, tendenze e parole chiave. Vergani tiene ben salde le due dimensioni di Welfare e capitalismo, illustrando come i mutamenti della seconda (capitalismo) influiscono sulla prima (Stato Sociale) e descrivendo come, in un mercato del lavoro profondamente cambiato, il welfare non sia più in grado da solo di assicurarvi l’accesso e la presenza regolare per i cittadini e le cittadine. Vergani (in accordo con Ascoli e altri studiosi) individua quattro ‘tappe’ del Welfare in Italia (pp. 26-33) e legge questa evoluzione come il passaggio da un Welfare fordista (lavoro, famiglia e stato sociale assicurativo) a un Welfare post-fordista: alternativa tra la tutela del lavoratore e quella del cittadino, dimensione locale del welfare, attivazione del lavoratore/cittadino come principio-guida. Proprio l’attivazione (degli individui) è indicata come una delle caratteristiche chiave del Welfare post-fordista (e lo sarà anche per l’intervento sui minori del penale, nel capitolo terzo).
Il lavoro, uno snodo decisivo rispetto alla configurazione e all’assetto del Welfare State, oggi va però perdendo le caratteristiche con cui siamo stati abituati ad intenderlo, tanto che è possibile parlare di una fine del lavoro (non tout-court) per come l’abbiamo conosciuto per molti decenni (p. 46). Un lavoro che cambia di significato e assume più significati e che va verso la destandardizzazione (Beck). Il concetto-principio di flexicurity (flessicurezza), molto in uso nelle politiche a livello europeo e mondiale, se sbilanciato sul fronte della ‘flessibilità’ ne esce segnato da pesanti contraddizioni contribuendo alla frantumazione del lavoro.
Il secondo capitolo (Politiche attive del lavoro e servizi per l’impiego: percorsi di cambiamento e criteri di definizione nel contesto italiano) prende avvio dalla definizione di politiche pubbliche ben radicata in letteratura e condivisa con autori stranieri e italiani (Meny e Thoenig, Crozier e Friedberg, Martini e Sisti). Ma appare di interesse strategico per il resto della riflessione lo sviluppo di questa definizione che dà Vergani, che intende le politiche pubbliche come fatti relazionali di reciprocità e come azioni sociali strutturate, attività intenzionali che implicano una deliberazione consapevole (p. 90). L’autore attribuisce pertanto alla politica le caratteristiche di relazionalità, significato (senso), intenzionalità, finalità, orientamento, contestualizzazione.
È alla luce di questi tratti che è possibile leggere l’accezione di mercato del lavoro (luogo di incontro tra domanda e offerta, con un suo preciso funzionamento attivato da processi e meccanismi e che dà esito a interventi mirati) e la attenzione che l’Autore riserva verso le misure attive di politica del lavoro (formazione, job-rotation e job-sharing, incentivi, interventi per integrazione lavorativa). Il testo non solo ripercorre i sentieri delle politiche attive del lavoro in Italia (si sintetizzano la legislazione e i provvedimenti degli ultimi trent’anni) e in Europa (dalla Strategia Europea per l’Occupazione del 1997 alla attuale Europa 2020), ma indica nei Servizi e nei Centri per l’Impiego il dispositivo attuativo.
I Servizi portano con sé tre tratti distintivi che li avvicinano alle configurazioni del Welfare illustrate nella prima sezione: territorializzazione, integrazione (pubblico e privato), processualizzazione (combinazione di interventi diversi). La relazionalità infine pare trovare uno spazio particolare nella dinamica dei Centri per l’Impiego che, operando a favore della domanda e dell’offerta, utilizzano il Patto di servizio, un accordo tra il Centro e la persona in cerca di lavoro.
Il terzo e ultimo capitolo (Lavoro e formazione per i minori del penale: dalle politiche di attuazione all’intervento in situazione) conduce il lettore nel cuore del tema oggetto del libro e porta a sintesi concreta la cornice esposta nei precedenti capitoli.
Nella prospettiva delineata da Vergani la strategia che porta ad un reinserimento dei giovani del penale è quella del lavoro e della formazione come fattori di apprendimento come indicano le Linee guida in materia di inclusione sociale a favore delle persone sottoposte a provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria. In questo quadro il percorso formazione-lavoro-apprendimento-cambiamento non risulta più sequenziale, ma intrecciato e caratterizzato da alcuni ‘movimenti’ (p. 132): un percorso del lavoro da dentro il carcere a fuori (area penale esterna); un bilanciamento tra formazione completamente formale e tutto lavoro; un recupero delle esperienze precedenti alla restrizione della libertà; un passaggio dalla focalizzazione esclusiva sull’apprendimento all’adozione di strumenti eterogenei per il reinserimento sociale del minore.
Uno strumento chiave in questo quadro complesso è la formazione professionale che deve: essere diversificata e articolata, essere personalizzata (centrata sulle caratteristiche del singolo minore), avere continuità (andando oltre l’iter penale), essere flessibile. Essa per i minori (al contempo produttori di insicurezza e vittime dell’insicurezza stessa, p. 143) può essere una leva di attivazione, aiutandoli ad uscire e liberarsi dai ‘contenitori a tenuta stagna’ forniti dal sistema penale (Bauman) che rischiano di impedire un loro reinserimento.
I Percorsi di Istruzione e Formazione Professionale per l’assolvimento del Diritto-dovere, in particolare la formazione tri-quadriennale dell’ordinamento regionale, si configurano come occasioni importanti di attivazione, in connessione con altri luoghi di esperienza e quindi di apprendimento. Questi luoghi-momenti di apprendimento esperienziale, supportati da strumenti come il Patto Educativo Individuale e l’apprendistato (tema oggi particolarmente attuale in seguito al recente Testo Unico 2011), sono letti da Vergani come strumenti di rilievo del Welfare e delle politiche del lavoro per l’intervento sui minori, in una transizione che li accompagna da dentro il carcere (con il laboratorio, l’impresa simulata) a fuori (stage, imprese di transizione, imprese sociali, realtà produttive).
 
In questo quadro il lettore ritrova la concezione delle politiche pubbliche, emersa nelle pagine precedenti del volume: gli interventi formativi ed esperienziali sui minori del penale sono anche fatti relazionali di reciprocità, azioni sociali strutturate con una intenzionalità ben precisa. Il Welfare che il volume propone non è di impianto caritatevole, né costituito da interventi isolati, ma si compone di politiche attive e attivanti. Accompagnare questi ragazzi e queste ragazze in un percorso da dentro a fuori l’area penale si delinea come una possibilità di passare davvero da fuori a dentro: la chiave per una loro inclusione autentica.
 

Area tematica: 
Tipo di Contenuto: 
Data pubblicazione: 
Giovedì, 13 Luglio, 2017 - 12:27