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Dalla prassi degli operatori delle pubbliche amministrazioni al sistema informativo dei servizi. Riflessioni sul contributo della comunità di pratica nei processi di cambiamento

Creato il:  8 Marzo 2011

 

di Anna Zenarolla

 

Nei dati e nella loro capacità di rappresentare fenomeni attuali e di delineare scenari futuri, amministratori ed operatori delle pubbliche amministrazioni ripongono non poche aspettative di miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dei servizi e degli interventi attivati dalle loro organizzazioni. In particolare nei momenti di crisi economica come quello attuale, in cui la crescita dei bisogni si accompagna ad una diminuzione delle risorse con cui affrontarli, la disponibilità di dati in grado di quantificare e qualificare i bisogni costituisce la risorsa più ambita dai decisori. Essi infatti si trovano a dover a stabilire priorità di intervento per poter allocare in modo razionale le poche risorse disponibili, e necessitano quindi di informazioni che consentano loro di comprendere la natura dei problemi da affrontare, il loro grado di rilevanza e di diffusione, così come le loro possibili evoluzioni.
Se tante sono le aspettative riposte nei dati, altrettante sono le difficoltà legate alla loro produzione. Essi, infatti, non sono una risorsa disponibile, per così dire, allo stato puro, ma vanno costruiti e la loro costruzione richiede tempo e lavoro. Per questo non è facile avere a disposizione dati, in particolare esaustivi, omogenei e attendibili.
Ciò vale soprattutto in un settore chiamato a dare risposta a bisogni molto complessi e in rapido cambiamento come quello delle politiche sociali, che non a caso in questi ultimi anni ha dimostrato un forte interesse verso la costruzione di sistemi informativi sociali. Numerose, infatti, sono le esperienze realizzate in tal senso soprattutto dalle Regioni attraverso la costruzione di sistemi informativi regionali e da alcune Province con la costruzione di osservatori, anche in ottemperanza a quanto previsto dalla L. 328/2000 (1).
A partire da una di queste esperienze (2) ha origine la riflessione proposta in questo articolo, che vuole soffermarsi in particolare sugli elementi che possono aiutare a superare alcune delle maggiori difficoltà e resistenze che ostacolano la produzione di dati e, di conseguenza, l’implementazione dei sistemi informativi. L’esperienza di accompagnamento alla costruzione del Sistema Informativo dei Servizi Sociali della Regione Friuli Venezia Giulia, che nel corso di quasi cinque anni ha portato alla costruzione di un unico strumento informatico di documentazione utilizzato da tutto il Servizio Sociale dei Comuni della regione, ha evidenziato alcune dimensioni metodologiche che paiono fondamentali per il buon esito di tali percorsi e, analogamente, anche per la riuscita di altri percorsi di cambiamento e innovazione nelle pubbliche amministrazioni.

1.    Per un’operatività che sia flusso informativo

Uno dei maggiori e più frequenti ostacoli allo sviluppo dei sistemi informativi è costituito dalla mancanza di motivazione alla produzione dei dati da parte delle diverse fonti informative. Compilazioni incomplete, dati mancanti o sbagliati, ritardi nelle registrazioni sono alcune delle problematiche più ricorrenti dei sistemi informativi, causate quasi sempre da scarso interesse e attenzione da parte di coloro che sono chiamati a produrre i dati. La registrazione del dato viene spesso percepita come un atto dovuto o come una generosa concessione fine a se stessa, priva di un ritorno utile e tale da ripagare lo sforzo fatto per ottenere quel dato. Chi produce e mette a disposizione i dati raramente ha una visione chiara e completa del contesto informativo che essi andranno a comporre e del significato di tale contesto. Questo accade perché spesso, nella costruzione dei sistemi informativi, la dimensione processuale sottesa alla produzione dei dati viene messa in secondo piano rispetto a quelle di carattere tecnico e tecnologico inerenti metodi, strumenti, procedure e tecniche di selezione, raccolta, archiviazione ed elaborazione dei dati. Si tende a dimenticare che tutte queste dimensioni non sono elementi a sé stanti ma costituiscono parti di un unico processo, e per questo devono essere mantenute strettamente unite. È importante, in particolare, che il legame tra gli estremi del processo informativo, ossia il momento della produzione del dato e quello della sua restituzione, non si allenti sino a separarli. In tal caso, infatti, il dato finisce per perdere il proprio significato sia per chi lo produce sia per chi lo riceve e lo utilizza dopo che è stato elaborato.
Da qui l’esigenza di garantire il più possibile la piena comprensione da parte di tutte le fonti informative dell’intera architettura del sistema informativo e della sua utilità per loro, coinvolgendole nella sua costruzione sin dalle fasi iniziali e proseguendo in tal senso nel corso di tutta la sua implementazione.
Dell’importanza del coinvolgimento dei produttori dei dati sono ormai consapevoli gli addetti ai lavori che sottolineano, infatti, l’esigenza di impostare i sistemi informativi secondo una logica di tipo bottom up, partendo quindi dal livello base di operatività dove i dati vengono prodotti. Tale logica però fatica a trovare efficaci modalità di realizzazione, finendo spesso per concretizzarsi nell’adozione di strumenti di rilevazione condivisi con i compilatori ma comunque separati dall’operatività che vogliono rappresentare. Per quanto condivisi, di frequente questi strumenti di rilevazione veicolano un flusso informativo che non viene alimentato dalla pratica ma ad essa si sovrappone o si giustappone, con conseguente onere aggiuntivo per coloro che devono alimentarlo e con inevitabili probabilità di errori di registrazione o di trasmissione dei dati.
Emerge quindi l’esigenza di fare in modo che l’operatività stessa diventi flusso informativo, ossia che produca informazione contestualmente al suo sviluppo. Attingendo anche al contributo delle nuove tecnologie, si tratta quindi di trovare gli strumenti e le modalità che consentano di recepire il potenziale informativo insito nell’operatività contestualmente allo svolgimento di quest’ultima, riducendo il più possibile le operazioni di trasferimento del contenuto informativo dell’operatività all’interno dei flussi informativi del sistema.
Partendo da questi presupposti la Regione Friuli Venezia Giulia ha individuato quale fulcro del proprio sistema informativo dei servizi sociali (di seguito SISS) la cartella sociale, ossia lo strumento fondamentale di documentazione dell’assistente sociale. La cartella sociale costituisce infatti il principale strumento professionale di documentazione dell’assistente sociale, è il «luogo di raccolta di tutti i documenti che testimoniano l’attività dell’assistente sociale e che ne definiscono i presupporti normativi e metodologici: il diario del caso e della relazione di aiuto, la registrazione dei colloqui e delle visite domiciliari, le relazioni scritte prodotte nel corso del processo, i verbali del lavoro con altri operatori e delle decisioni di equipe» (3). L’informatizzazione di questo strumento di documentazione, attraverso la costruzione di uno specifico applicativo informatico su Web denominato Cartella Sociale Informatizzata (di seguito CSI), è ciò che ha permesso di fare in modo che la registrazione dei principali flussi informativi del SISS possa avvenire contestualmente alla loro realizzazione operativa. Per rendere possibile tutto questo è stato necessario configurare la CSI, in modo da consentirle di riflettere i processi metodologici ed amministrativi sottesi alla presa in carico assistenziale dell’utenza. Tra documentazione e processo di aiuto, infatti, sussiste un «rapporto circolare e di reciproca influenza. […] La documentazione professionale costituisce un processo elaborativo che permette di fissare, evidenziare, selezionare, mettere in relazione, apprendere ciò che accade nella comunicazione verbale. La documentazione professionale permette di non perdere di vista scopi e obiettivi della relazione e del processo di aiuto, favorendo anche una valutazione degli interventi effettuati. Così definito, il processo di documentazione costituisce un metalivello rispetto al processo professionale di aiuto: permette la lettura delle regole e una eventuale loro ridefinizione. La documentazione favorisce il processo interpretativo della realtà, effettuato attraverso l’individuazione di specifici criteri e indicatori derivanti da modelli teorici espliciti o impliciti: una sorta di “riorganizzazione”  del significato attribuito agli eventi e alle osservazioni» (4). 
Garantire questa circolarità e reciproca influenza tra documentazione e processo di aiuto è stato l’obiettivo perseguito dalla Regione Friuli Venezia Giulia nell’informatizzazione della cartella sociale. Attraverso un percorso di confronto con la comunità professionale degli assistenti sociali, infatti, la Regione ha cercato di costruire un applicativo informatico che potesse accompagnare il più possibile il processo di presa in carico assistenziale nel suo svolgimento. Questo però ha significato capovolgere completamente la logica con cui la cartella sociale era stata sino ad allora concepita: da strumento dell’operatore e per l’operatore la cartella ha dovuto diventare uno strumento dell’utente e per l’utente. Se l’operatività dell’assistente sociale si concentra sulla persona e sul progetto assistenziale che per la stessa viene predisposto, ne consegue che la persona e il suo progetto debbano costituire il fulcro attorno al quale deve ruotare anche il processo di documentazione. La cartella sociale pertanto deve essere riferita all’utente e non all’operatore che lo ha in carico, e deve riflettere il progetto assistenziale che per l’utente viene predisposto e non l’attività che per esso viene svolta dall’assistente sociale. Deve seguire la logica progettuale della presa in carico e non quella procedurale o amministrativa della burocrazia.
A partire da questi riferimenti, l’applicativo informatico CSI cui è pervenuta la Regione Friuli Venezia Giulia si compone di sezioni tra loro interconnesse che rispecchiano le fasi del processo di aiuto e della progettazione del piano assistenziale individualizzato, articolandosi in:
-    identificazione dell’utente attraverso la registrazione delle informazioni di carattere anagrafico e socioeconomico che lo riguardano;
-    profilo socioassistenziale e sanitario dell’utente;
-    assessment, ossia diagnosi sociale con valutazione delle problematiche dell’utente e delle capacità di fronteggiamento di quest’ultimo e della sua rete naturale;
-    progetto assistenziale, con individuazione delle risorse, degli obiettivi e degli interventi.
Come si può notare, i flussi informativi alimentati dalla CSI riguardano l’utenza dei servizi, con le sue problematiche e gli interventi attivati in suo favore. Si tratta di flussi informativi circoscritti, che non rispondono a tutto il fabbisogno conoscitivo che il SISS deve colmare per conseguire gli obiettivi assegnatigli dalla normativa. Essi pertanto devono essere integrati con ulteriori flussi informativi, attinti da altre fonti attraverso modalità e strumenti di rilevazione e registrazione ad esse adeguati. I flussi informativi alimentati dalla CSI tuttavia rivestono un’importanza cruciale per il sistema dei servizi in quanto non consentono solo di quantificare l’utenza presa in carico dai servizi sociali, qualificarla in base alla tipologia delle problematiche che presenta e quantificare le varie tipologie di interventi assistenziali attivate in risposta a tali problematiche, ma permettono anche di cogliere la coerenza tra le problematiche rilevate e gli interventi attivati, restituendo informazioni essenziali per valutare l’adeguatezza dei servizi rispetto alle necessità manifestate dal territorio. In fase di definizione dei contenuti dell’applicativo, infatti, si è operato su due dimensioni: quella delle problematiche e quella degli interventi. Per entrambe è stata individuata una classificazione, articolata su due livelli di generalità – uno macro ed uno di dettaglio –, che aiuta ad approfondire sia l’analisi dei bisogni sia quella delle risposte e permette di incrociare gli uni e le altre in modo da favorire la coerenza tra i due.
Come si può intuire, giungere due classificazioni rispettivamente di dieci aree problematiche, articolate in ulteriori sotto problematiche, l’una e di 94 interventi l’altra, condivise da tutta la comunità professionale degli assistenti sociali della regione non è stato semplice. Così come non è stato semplice per gli operatori utilizzare la CSI, passando non tanto da uno strumento di registrazione cartaceo ad uno su web ma soprattutto da una modalità di registrazione libera e soggettiva ad una vincolata entro categorie predefinite. Questo ha richiesto da un lato un lungo e faticoso percorso di confronto e di condivisione con la comunità professionale al fine di individuare e definire le problematiche e gli interventi e, dall’altro, un altrettanto lungo e faticoso processo di accompagnamento all’utilizzo dello strumento, come di seguito illustrato.

2.    La comunità di pratica come strumento e veicolo del cambiamento

Ciò che ha reso possibile operare e diffondere il capovolgimento descritto nel paragrafo precedente è stato l’aver basato la costruzione della cartella sociale e del SISS su un forte coinvolgimento diretto della comunità professionale degli assistenti sociali, la quale progressivamente ha saputo diventare vera e propria comunità di pratica, facendo da volano di un processo di cambiamento e apprendimento.
Il processo di informatizzazione della cartella sociale è avvenuto infatti attraverso uno scambio costante con gli assistenti sociali della regione, attraverso momenti di confronto e di formazione che hanno accompagnato tutte le fasi del processo, da quella iniziale di analisi della sua fattibilità, a quella di avvio, a quelle di confronto in itinere sulle diverse ipotesi metodologiche ed informatiche proposte, a quelli di addestramento e di affiancamento all’utilizzo delle varie versioni dell’applicativo, a quelli di approfondimento di specifiche utilità dello stesso. Si è trattato di un’intensa attività di accompagnamento snodatasi lungo tutto lo svolgimento del processo attraverso incontri a livello regionale e a livello locale presso le sedi dei singoli Ambiti distrettuali.
La funzione strategica svolta dalla comunità di pratica per il buon esito dell’esperienza in oggetto porta a ritenere utile evidenziare gli aspetti più significativi che hanno consentito alla comunità professionale degli assistenti sociali della regione di diventare una comunità di pratica. L’approccio metodologico adottato per la costruzione del SISS, infatti, è stato sin dall’inizio individuato nella valorizzazione e nella messa in comune delle competenze e dell’operatività degli assistenti sociali, principali alimentatori e fruitori del SISS. La loro partecipazione, tuttavia, avrebbe anche potuto rimanere un mero prendere parte ad un’iniziativa senza sviluppare senso di appartenenza ad una collettività più ampia e senza promuovere alcun tipo di investimento. Viceversa, il percorso compiuto è riuscito, seppur con gli immancabili limiti di ogni iniziativa umana, a generare quel tipo di partecipazione generativo di apprendimento e di cambiamento che sostanzia la comunità di pratica. Per questo pare interessante ripercorrerlo, al fine di favorire esperienze analoghe.
La comunità di pratica indica un insieme di persone che, condividendo interessi e problematiche professionali in uno specifico ambito di conoscenza/competenza, sono disponibili a mettere in comune esperienze e migliori pratiche, in una logica di crescita individuale basata sull’apprendimento di gruppo. Il concetto di comunità di pratica mira a sottolineare non solo l’importanza dell’esperienza nei processi di apprendimento (intesa come coinvolgimento attivo in un contesto), ma soprattutto quella del tessuto sociale e relazionale che consente di rielaborare e conferire senso all’esperienza maturata. Si tratta, quindi, di un concetto che assume una definizione sociale di apprendimento in termini di competenza sociale ed esperienza personale (5).
Nello specifico, il concetto di pratica «connota il fare, ma non solo il fare in sé e per sé. È il fare in un contesto storico e sociale che dà struttura e significato alla nostra attività. In questo senso, la pratica è sempre pratica sociale» (6). Essa include sia l’esplicito sia l’implicito, vale a dire sia elementi visibili, udibili o palpabili come il linguaggio, gli strumenti, i documenti, le immagini, i simboli, i ruoli, le procedure, le normative, sia gli aspetti non direttamente rilevabili quali le relazioni implicite, le convenzioni tacite, le regole, le intese, gli assunti e le visioni condivise del mondo.
La comunità di pratica è caratterizzata dalla presenza di tre elementi: l’impegno reciproco, l’impresa comune e il repertorio comune (7). L’esperienza oggetto di riflessione presenta tutti e tre questi elementi. In essa, infatti, c’era  una comune impresa da compiere: si doveva costruire una cartella sociale informatizzata utilizzabile da tutti gli assistenti sociali della regione in modo da poter costituire il principale elemento costitutivo del SISS. Darsi uno scopo condiviso, tuttavia, è comune a diversi gruppi di lavoro che non per questo si configurano come comunità di pratica. Ciò che risulta a tal fine determinante, come sottolinea Wenger, è il fatto che questa impresa non sia qualcosa di astratto o qualcosa che viene assegnato o imposto dall’esterno, ma è «il risultato di un processo collettivo di negoziazione che riflette tutta la complessità dell’impegno reciproco. Viene definita dai partecipanti nel metterla in atto. È la loro risposta negoziata alla situazione in cui si trovano, e dunque appartiene a loro in senso profondo, nonostante tutte le forze e tutte le influenze che esorbitano dal controllo di queste persone. Non è solo un obiettivo astratto, ma crea tra i partecipanti relazioni di responsabilizzazione reciproca che fanno parte integrante della pratica» (8). Nell’esperienza in oggetto l’impresa comune, ossia la CSI e il SISS, sono ciò che progressivamente e concordemente la comunità professionale ha costruito traducendo in pratica nozioni, concetti e idee astratte. È stata la loro operatività, condivisa ed analizzata riflessivamente, a dare contenuto e concretezza all’impresa. L’architettura del SISS e la configurazione della CSI cui si è pervenuti sono, infatti, l’esito della rielaborazione delle definizioni teoriche e delle raffigurazioni di SISS e di CSI proposte al gruppo; sono la risposta che il gruppo ha dato alle proposte di SISS e di CSI via via ricevute dalla Direzione regionale. In tal senso costituiscono la soluzione locale a quell’obiettivo. Infatti, «anche quando la pratica di una comunità è profondamente influenzata da condizioni estranee al controllo dei suoi membri, come avviene sempre sotto alcuni aspetti, la sua realtà quotidiana viene tuttavia prodotta dai partecipanti all’interno delle risorse e dei vincoli che ne caratterizzano le situazioni. È la loro risposta alle loro condizioni, e quindi la loro impresa» (9). L’impresa pertanto è l’esito di un processo di negoziazione e quindi di mediazione tra le condizioni e sollecitazioni del contesto e il modo in cui i partecipanti le interpretano. Questa dimensione di negoziazione ed interpretazione da parte dei partecipanti è un aspetto che merita di essere sottolineato in quanto particolarmente importante per il compimento dell’impresa che ha caratterizzato l’esperienza in oggetto. La costruzione del SISS e della CSI della Regione Friuli Venezia Giulia, infatti, sono avvenute attraverso una costante attività di confronto e scambio con la comunità professionale degli assistenti sociali, recependo le loro osservazioni rispetto a quanto proposto e cercando di pervenire ad una soluzione capace il più possibile di integrarle. Il capovolgimento di prospettiva dello strumento, da un lato, e il suo trasferimento sul supporto informatico dall’altro hanno chiesto agli assistenti sociali di compiere un profondo cambiamento nelle proprie modalità di lavoro. Era quindi inevitabile che incontrassero difficoltà e manifestassero resistenze che si è cercato di superare affiancandoli ed accompagnandoli con appositi momenti formativi in cui si sono individuate soluzioni il più possibile coerenti col loro metodo di lavoro e rispondenti alle loro esigenze. La versione definitiva della CSI, in tal modo, risulta non solo costruita dal basso, ma anche coerente con la pratica degli assistenti sociali perché da questa emergente.
Ovviamente, perchè questo possa avvenire è necessario l’impegno reciproco dei partecipanti. «La pratica non esiste in astratto. Esiste perché le persone sono impegnate in azioni di cui negoziano reciprocamente il significato. […] La pratica risiede in una comunità di persone e nelle relazioni di impegno reciproco attraverso le quali esse fanno tutto ciò che fanno» (10). Alla  sua base deve esserci quindi «un patto di impegno reciproco» (11). Anche questo si rinviene nell’esperienza oggetto di riflessione che ha visto Regione e Ambiti distrettuali reciprocamente impegnati in quello che sin dall’avvio del progetto nel 2001 era stato denominato, appunto, “Un patto per l’informa-tizzazione” confermando la consapevolezza che l’impresa avrebbe potuto essere conseguita solo qualora concepita e assunta come impegno reciproco di Ambiti distrettuali e Direzione regionale. Il percorso di confronto e di accompagnamento compiuto ha richiesto, infatti, un notevole sforzo alla comunità professionale che ha dovuto dedicare tempo non solo per partecipare agli incontri formativi ma anche per adottare nuove modalità di lavoro e imparare ad utilizzare il nuovo strumento informatico.
Dall’impresa comune e dall’impegno reciproco deriva lo sviluppo di un repertorio condiviso, ossia l’insieme di «routine, parole, strumenti, modi di operare, storie, gesti, simboli, genres (genere, stile), azioni o concetti che la comunità ha prodotto o adottato nel corso della sua esistenza, e che sono entrati a far parte della sua pratica» (12). Anche questo è stato un risultato molto importante del percorso di costruzione del SISS del Friuli Venezia Giulia. Partendo dalla consapevolezza della necessità di rendere informativa l’operatività stessa degli assistenti sociali di cui al paragrafo precedente, è stato inevitabile concentrare l’attenzione su quest’ultima e quindi sulla presa in carico dell’utente. Essa è stata oggetto di una profonda revisione finalizzata a pervenire ad una omogeneizzazione del metodo e della prassi seguiti dagli assistenti sociali nel processo di aiuto alla persona funzionale al suo trasferimento sul supporto informatico della CSI. Ciò ha significato rimettere in discussione modalità di lavoro e assetti organizzativi ormai consolidati al fine di individuarne ed adottarne altri che fossero più coerenti con la comune impresa da realizzare.
Aver individuato nell’operatività del Servizio Sociale il fulcro del SISS è stato ciò che ha reso possibile far diventare l’obiettivo regionale di costruzione del SISS un’«impresa» condivisa dalla comunità professionale degli assistenti sociali, dalla quale sono derivati sia il loro «impegno reciproco» nel perseguirlo individuando le modalità più adeguate per rendere informativa la propria operatività, sia la costruzione di un «repertorio di strumenti» con cui conseguirlo, ossia lo stesso applicativo informatico della cartella sociale. Questi tre elementi sono ciò che ha trasformato la comunità professionale degli assistenti sociali da un gruppo di professionisti legati ai propri enti di appartenenza a comunità di professionisti uniti dalla propria pratica professionale e dall’impegno a migliorarla in risposta alle sollecitazioni dell’ambiente esterno.

3. Alimentare il SISS coltivando comunità di pratica

Configurarsi come comunità di pratica diventa per il SISS garanzia di attendibilità delle informazioni raccolte e di sostenibilità nel tempo. Capita spesso infatti che i sistemi informativi rimangano a livello di semplice progetto o di mera sperimentazione senza riuscire a consolidarsi e a diventare una funzione delle organizzazioni stabile e capace di offrire informazioni attendibili e aggiornate. Il loro funzionamento e la loro alimentazione dipendono spesso dalla presenza e dall’impegno di singoli dirigenti che, credendo nell’utilità di questi strumenti, ne promuovono la costruzione e ne sostengono l’implementazione. Nel momento in cui, per vari motivi, la loro presenza viene meno capita che il progetto muoia o che la sperimentazione venga abbandonata. Altre volte gli applicativi non vengono utilizzati pienamente e da tutti i soggetti del sistema informativo per il quale sono stati costruiti, rendendo in tal modo vano anche l’impegno e lo sforzo di quanti si applicano con costanza alla loro implementazione.
Costruire un sistema informativo non è sufficiente a farlo funzionare. Gli investimenti compiuti per la sua costruzione vengono rapidamente dispersi se non si continua ad investire nella sua implementazione. E questo significa prestare attenzione non tanto alla dimensione informatica del sistema, quanto piuttosto alla sua componente umana, ossia alle persone che sono chiamate ad alimentarlo con rigore e costanza. In tutto questo la comunità di pratica può essere di grande aiuto.
Per dare continuità ai sistemi informativi e per assicurare l’affidabilità delle loro informazioni, infatti, è necessario che siano radicati in un’operatività riflessiva, ossia in un’agire che trae dalla riflessività su di sé la spinta per proseguire. La comunità di pratica può favorire lo sviluppo dei sistemi informativi in quanto consente di sviluppare una forte propensione auto-propulsiva, che deriva dai processi di condivisione di conoscenze e di collaborazione per la risoluzione dei problemi che si instaurano tra i suoi membri. Diventa quindi fondamentale cercare di capire in che modo e con quali strumenti le comunità di pratica, una volta costituitesi, possono essere sostenute e aiutate a mantenersi vitali nel tempo.
Un primo contributo in tal senso può provenire dalle nuove tecnologie. Nell’esperienza in oggetto, ad esempio, esse sono state determinanti per fare in modo che la comunità professionale degli assistenti sociali si configurasse  come comunità di pratica. Costruire gli applicativi informatici del SISS direttamente sul Web è stato infatti particolarmente funzionale a promuovere l’interazione necessaria allo sviluppo delle comunità di pratica. Il Web infatti è «una “tecnologia organizzativa”. In quanto tale permette di lavorare insieme ad altri e di condividere informazioni tra uffici, di realizzare pratiche di integrazione tra basi di dati e tra procedure, nonché forme di collaborazione con soggetti esterni a una determinata amministrazione; fornisce, inoltre, il supporto tecnologico per la realizzazione di servizi evoluti ai cittadini» (13).
Il Web ha permesso di costruire una CSI con funzioni non solo di archiviazione ma anche di progettazione e gestione. Il Web ha reso possibile giungere ad uno strumento che permette a tutti gli operatori a vario titolo coinvolti nella presa in carico di un utente, anche se appartenenti ad organizzazioni diverse, di condividere le informazioni che lo riguardano e che sono necessarie per portare avanti il suo progetto assistenziale. Il Web quindi è ciò che consente alla pratica – in questo caso alla presa in carico dell’utente - di rimanere l’impresa comune su cui converge l’impegno reciproco dei professionisti. In tal senso, nel caso specifico del SISS, esso offre un contributo rilevante in vista di quell’integrazione sociosanitaria che continua a rimanere uno degli obiettivi più difficili da conseguire proprio per il persistere di differenze nella cultura professionale degli operatori che la condivisione della pratica aiuta a superare.
L’altra nuova tecnologia che può essere utilizzata per alimentare la comunità di pratica è la posta elettronica. Nell’esperienza in oggetto, ci si è avvalsi di questo strumento per dar vita ad uno scambio analogo a quello che può essere sviluppato attraverso il forum. Quest’ultimo, infatti, è particolarmente utile per la costituzione e il mantenimento delle comunità di pratica, in quanto favorisce quel collegamento e quel confronto tra gli operatori che può portarli a condividere ed omogeneizzare anche le loro prassi e procedure di lavoro. Il forum infatti è uno spazio virtuale nel quale più soggetti “postano” messaggi in relazione alle tematiche proposte e condividono risorse informative; tale forum si collega più in generale all’obiettivo di riattivare progressivamente un canale online di comunicazione con gli stakeholder (amministratori/decisori, dirigenti/coordinatori, operatori, mondo del volontariato, ecc.). Tramite identificazione e accesso con password agli utenti registrati, esso consente di accedere a servizi di comunicazione asincrona per lo scambio di esperienze e informazioni, per la discussione, per la messa a disposizione di materiali e strumenti di lavoro, per la definizione di un linguaggio comune che dia omogeneità alle pratiche lavorative in regione. È dotato quindi di un servizio di repository di documenti in diverso formato (pdf, Word, Excel, Powepoint, ecc.). Attraverso il forum tutti gli utilizzatori hanno la possibilità di partecipare all’«impresa comune» di costruzione del SISS, attraverso la condivisione del linguaggio, delle regole e delle procedure sottostanti la rilevazione dei flussi informativi. Il forum, in particolare, consente di:
-    aprire sezioni di confronto su modalità di lavoro e di documentazione;
-    rispondere con celerità alle domande provenienti dagli operatori coinvolti nella rilevazione di uno specifico flusso informativo e soprattutto di conservare e cumulare le risposte date, di sottoporle alla verifica e al confronto degli operatori e di metterle a disposizione di tutti loro;
-    rendere fruibili on line materiali e informazioni utili a garantire il corretto utilizzo degli strumenti e degli applicativi del SISS e la corretta interpretazione delle modalità e delle procedure di registrazione individuate.
Per la costruzione del SISS e della CSI del Friuli Venezia Giulia al posto del forum ci si è avvalsi della posta elettronica in quanto di più agevole utilizzo. Attraverso un collettore e coordinatore unico di tutte le e-mail inerenti lo sviluppo del SISS e della CSI è stato mantenuto costantemente attivo un sistema di comunicazione che ha consentito di ricevere e rispondere a tutte le richieste, i dubbi e i suggerimenti provenienti da tutti i soggetti coinvolti nel percorso, e di far circolare tra tutti loro i materiali prodotti in risposta a tali sollecitazioni. L’interfaccia informatica e la funzione di filtro del coordinatore unico hanno facilitato l’esplicitazione di domande, incomprensioni e difficoltà inerenti l’applicativo informatico e il suo utilizzo; resi anonimi e depurati da eventuali elementi inopportuni, i contenuti delle mail sono stati fatti circolare tra tutti i partecipanti al percorso, diventando materiale comune che, in alcuni casi ha anticipato richieste e dubbi che sarebbero stati avanzati da altri soggetti, in altri casi è servito come esempio da imitare, in altri casi ancora ha potuto essere arricchito con ulteriori contributi. In questo modo è stato possibile non solo costruire assieme a tutta la comunità professionale degli assistenti sociali lo strumento informatico assicurando al contempo un accompagnamento in itinere al suo utilizzo, ma anche favorire un processo di apprendimento attraverso il confronto delle reciproche esperienze che è stato di stimolo al miglioramento continuo di tutti gli operatori.
Questa modalità di lavoro – e ancor più quella che è in grado di offrire il forum – è stata particolarmente utile allo sviluppo della comunità di pratica, la cui efficacia rispetto alla costruzione di conoscenza «è legata soprattutto a due fattori chiave: i collegamenti fra le persone e la raccolta delle conoscenze e delle buone prassi. […] Attivare contatti finalizzati a trovare una risposta a un proprio problema professionale, richiede un livello di fiducia che spesso manca nelle grandi organizzazioni, in particolare quando questo implichi la condivisione delle conoscenze con il mondo esterno all’organizzazione stessa. […] È quindi difficile che si tenda a palesare la propria “ignoranza” sui canali formali dell’organizzazione, soprattutto se c’è il rischio di ricadute negative a livello personale. In questo senso la comunità può diventare terreno protetto, all’interno del quale calare la maschera, nella sicurezza (almeno si spera) di una comunicazione interpersonale in gruppo chiuso. […] L’interesse a condividere obiettivi e problematiche professionali guida le Cdp nell’identificazione delle conoscenze da ricercare e socializzare. In altre parole, le CdP possono fungere da motore primario nella canalizzazione e nella raccolta delle informazioni e delle conoscenze utili all’organizzazione, provengano esse dal suo interno o dall’esterno» (14).
Se è vero che la comunità di pratica può aiutare a rendere affidabili e aggiornati i dati di un sistema informativo, è altrettanto vero che può farlo solo qualora riesca a mantenersi vitale e attiva, ossia capace di «generare sufficiente curiosità, rilevanza e valore per attrarre e impegnare i propri membri» (15). Così come nascono e si sviluppano, le comunità di pratica anche muoiono. Per questo bisogna evitare che ciò accada.
In tale prospettiva diventa importante, in primo luogo, valorizzare il carattere spontaneo e dinamico delle comunità di pratica, sostenendo le  reti di relazioni che le hanno originate e cercando di favorire la loro naturale evoluzione. Ciò significa prestare attenzione e assecondare il più possibile le richieste di supporto ma anche di approfondimento che provengono dai componenti della comunità in quanto espressione di loro necessità o di loro interessi operativi.
In secondo luogo è fondamentale mantenere attivo il dialogo tra i componenti della comunità e soggetti che non ne fanno parte, in modo da introdurre nella comunità nuove prospettive e nuovi spunti di cambiamento. Una comunità vitale si caratterizza per la presenza di una «tensione tra la competenza così come definita dalla comunità e l’esperienza di quelle persone che si rapportano a quella comunità. […] Una comunità morta è una comunità in cui non ci sono più queste tensioni, le cui linee di confine sono chiuse, tanto i confini nei confronti degli altri quanto i confini verso nuove esperienze. Quindi è una situazione in cui si riproduce all’infinito la stessa esperienza. Quindi c’è un blocco tanto dell’esperienza quanto della competenza» (16). Questo vale in modo particolare per le comunità di pratica  rivolte ad alimentare un SISS, la cui possibilità di garantire l’affidabilità  dei dati forniti dipende proprio dalla capacità di renderlo in grado di rappresentare il più fedelmente possibile una realtà sociale complessa e in costante cambiamento. A tal fine lo scambio tra i membri della comunità di pratica coinvolti nello sviluppo del SISS e coloro che vivono ed operano in tale realtà diventa un prerequisito indispensabile per fare in modo che il SISS riesca a rappresentarla adeguatamente.
La vitalità di una comunità dipende anche dalla sua capacità di offrire ai suoi membri livelli differenziati di partecipazione in modo che ognuno possa trovare quello più rispondente alle proprie esigenze e disponibilità. «La chiave per favorire una buona partecipazione alla comunità e una certa intensità di movimento tra i vari livelli è la progettazione di attività che permettano ai partecipanti, di ciascun livello di sentirsi membri a pieno titolo» (17). Diverse sono le opportunità che, nell’ambito delle attività del SISS, si possono proporre a questo riguardo, a partire da quelle che riguardano la sua struttura e le sue componenti, come ad esempio le iniziative legate alla revisione e all’aggiornamento delle diverse sezioni del SISS o dei suoi supporti informatici, a quelle inerenti i contenuti trattati e sviluppati, come ad esempio le iniziative di confronto e di approfondimento di specifici contenuti informativi riferiti a target di utenza, ad interventi o a tematiche particolari. 
In tale prospettiva, come nel percorso compiuto per la costruzione del SISS della Regione Friuli Venezia Giulia, si possono prevedere iniziative che coinvolgano gruppi diversi rivolti all’analisi del patrimonio informativo depositato nel sistema informativo al fine di condividere prassi operative ed informative, oppure all’approfondimento e ampliamento della base informativa disponibile in modo da arricchirla al fine di rendendola più fruibile ed utile, oppure gruppi di carattere tecnico finalizzati ad individuare possibili miglioramenti da apportare agli applicativi informatici. Tali attività e iniziative, inoltre, dovrebbero essere cadenzate ad intervalli adeguati, in modo da dare alla comunità una certa ritmicità d’azione che non sia né troppo lenta né troppo veloce. «Quando il ritmo è sostenuto, la comunità avverte un senso di movimento e di vitalità. Ma se questo ritmo è troppo veloce la comunità è affaticata e le persone smettono di partecipare perché si sentono sovraccariche. Quando il ritmo è troppo basso, invece, la comunità prova stanchezza e un senso di debolezza» .
Un’ultima attenzione, infine, va riservata ad evidenziare il valore della comunità. Le comunità hanno cioè bisogno «di creare eventi, attività e relazioni che le aiutino a far emergere il loro valore potenziale e a scoprire nuovi modi di coltivarlo» . Il loro valore infatti cambia col tempo: se inizialmente è legato al concentrarsi sui problemi e sulle esigenze dei suoi membri, in seguito deriva soprattutto dalla capacità di sviluppare conoscenza e di renderla facilmente accessibile ai suoi membri. Se inizialmente il valore di una comunità di pratica funzionale al SISS è legato alla sua capacità di partecipare attivamente alla costruzione del SISS e alla soluzione dei problemi e delle difficoltà che questa comporta, successivamente, una volta costruito il SISS, il suo valore è legato alla capacità di elaborare e diffondere il patrimonio informativo in esso depositato, contribuendo a trasformarlo in conoscenza utilizzabile tanto a livello strategico-direzionale quanto a livello operativo-gestionale.
 

 

Note

1. La Legge 328/2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” che, all’art. 21 riconosce la necessità per lo Stato, le Regioni, le Province e i Comuni di istituire un sistema informativo dei servizi sociali «per assicurare una compiuta conoscenza dei bisogni sociali, del sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali e poter disporre tempestivamente di dati ed informazioni necessari alla programmazione, alla gestione e alla valutazione delle politiche sociali per la promozione e l’attivazione di progetti europei, per il coordinamento con le strutture sanitarie, formative, con le politiche del lavoro e dell’occupazione.
2. La riflessione proposta si riferisce al percorso di supporto tecnico e metodologico all’avvio e all’implementazione del Sistema Informativo dei Servizi Sociali della Regione Friuli Venezia Giulia realizzato su incarico di quest’ultima dall’Istituto di Ricerche Economiche e Sociali del Friuli Venezia Giulia (IRES-FVG).
3. Bini L., Documentazione in A.A.V.V., Dizionario di servizio sociale, Carocci, Roma, 2005, p. 206.
4. Bini L., Documentazione e servizio sociale, Carocci, Roma, 2003, p. 72.
5. Wenger E., Comunità di pratica, Raffaello Cortina, Roma, 2006, pp. 11-12.
6. Ivi,  p. 59.
7. Ivi, p. 87.
8. Ivi, p. 93.
9. Ivi, p. 94.
10. Ivi, p. 88.
11. Ibidem.
12. Ivi, p. 98.
13. Ministero della funzione pubblica, circolare 13 marzo 2001, n. 3/2001, Linee guida per l’organizzazione, l’usabilità e l’accessibilità dei siti Web delle pubbliche amministrazioni.
14. Trentin G., Apprendimento in rete e condivisione delle conoscenze, Franco Angeli, Milano, 2004, p. 55.
15. Wenger E., McDermott R., Snyder W.M., Coltivare comunità di pratica, Guerini e associate, Milano, 2007, p. 93.
16. Lipari D., Una conversazione con Etienne Wenger sulla coltivazione delle comunità di pratica, in Formazione e cambiamento, n. 45, feb-mar 2007.
17. Ivi, p. 102.

 

Bibliografia

Bini L., Documentazione e servizio sociale, Carocci, Roma, 2003
Bini L., Documentazione in A.A.V.V., Dizionario di servizio sociale, Carocci, Roma, 2005
Lipari D., Una conversazione con Etienne Wenger sulla coltivazione delle comunità di pratica, in Formazione e cambiamento, n. 45, feb-mar 2007
Trentin G., Apprendimento in rete e condivisione delle conoscenze, Franco Angeli, Milano, 2004
Wenger E., Comunità di pratica, Raffaello Cortina, Roma, 2006
Wenger E., McDermott R., Snyder W.M., Coltivare comunità di pratica, Guerini e associati, Milano, 2007

 

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Giovedì, 13 Luglio, 2017 - 12:27