FORMAZIONE E CAMBIAMENTO N. 82 MARZO - APRILE 2014
Recensione di Stefania Grandi
Uno dei paradossi a cui stiamo assistendo vede la specie umana in grado di mappare e di esplorare il cosmo a distanze immense “proprio mentre rischiamo di compromettere in modo irreversibile la buona vivibilità dell’unico pianeta di cui disponiamo” (p.97). Se siamo ormai consci di tale situazione, ci stiamo anche rendendo conto della necessità di cambiare comportamenti e stili di vita, sia individuali che collettivi, rispetto agli spazi in cui viviamo e alla finitudine delle risorse disponibili. I nostri comportamenti stanno, infatti, pregiudicando in maniera irreversibile non solo la vivibilità, ma la stessa possibilità di sviluppo della specie umana. Tale presa di coscienza implica una nuova cura degli spazi di vita, del paesaggio, del territorio e dell’ambiente, non più intesi come cornice e sfondo dell’azione dell’essere umano, ma come elementi costitutivi e determinanti della vita di ognuno.
In termini formativi si pongono pertanto nuove sfide che il libro Paesaggio lingua madre, recentemente pubblicato dalla casa editrice Erickson, cerca di approfondire partendo dagli spunti emersi da un progetto di ricerca-formazione-intervento con alcune scuole primarie. Il lavoro è finalizzato a definire i tratti di un approccio educativo che pone al centro il paesaggio e gli ambienti di vita. Il paesaggio è come la lingua madre e ciò “vuol dire che non decidiamo di apprenderla né possiamo non apprenderla; non possiamo decidere intenzionalmente di non capirla; non possiamo dire di non appartenervi; non possiamo dire che non la conosciamo, non possiamo conoscere altre lingue se non a partire da quella che ci ha reso animali di parola. Come la lingua madre, il paesaggio è originario” (p. 13). Allo stesso modo in cui accogliamo dentro di noi lo spazio in cui viviamo e lo facciamo diventare il nostro paesaggio, così proiettiamo il nostro mondo interno e le nostre aspettative all’esterno e negli altri. È in questo scambio tra mondo interno e mondo esterno, con la mediazione del principio di immaginazione, che il paesaggio assume un nuovo valore educativo. In questa idea di paesaggio si verificano delle inattese convergenze disciplinari che forniscono l’opportunità di affrontare una serie di urgenze educative. Si tratta delle urgenze che si dipanano dalle relazioni tra natura e cultura, tra lettura della storia e progettazione del futuro, tra responsabilità e partecipazione, tra identità e alterità, tra esigenze di fruizione e possibilità di costruzione di spazi di vita appropriati (p. 121).
Per affrontare queste esigenze formative è però necessaria una trasformazione della didattica, nei contenuti e nei metodi. Finora siamo stati legati ad un approccio teaching based learning, un’educazione cioè basata sull’insegnamento e sul trasferimento di informazioni; è necessario invece virare verso un approccio education based learning basato dunque sull’apprendimento e l’esperienza. Bisogna sapersi muovere, riprendendo un suggerimento del geografo Giuseppe Dematteis, verso percorsi di apprendimento capaci di valorizzare il sapere di sé, il sapere essere (la consapevolezza del rischio) e il sapere fare (la capacità di mettere in atto comportamenti adeguati alle circostanze), per migliorare non solo il rapporto uomo-natura, ma il modo di rappresentare tale relazione, per ricostruire “i rapporti di territorialità, attraverso cui la società, trasformando la Terra, trasforma se stessa”. Il prendersi cura degli spazi di vita per prendersi cura di sé introduce così a un’idea di educazione alla responsabilità e alla cittadinanza fondamentale per divenire “cittadini contemporanei e resilienti”, capaci di costruire, nelle interazioni con il proprio ambiente e il proprio territorio, una vivibilità rispettosa delle esigenze, dei vincoli e dei rischi posti sia dell’uomo che della natura.
Area tematica:
Tipo di Contenuto:
Data pubblicazione:
Giovedì, 13 Luglio, 2017 - 12:28