Recensione a cura di Fabio Roma
«Ogni lavoro individuale di una certa importanza si mescola almeno con una goccia di facoltà combinatoria. Ci si sente alati quando, leggendo un libro, già nell’introduzione ci si imbatte in quelle frasi piene di forza eppure formulate senza alcuno sforzo che lasciano intuire un carattere sovrano. Questo è un sale che oppone resistenza al tempo e ad ogni suo progresso»
Ernst Jünger, da Il cuore avventuroso
Il concetto di competenza non è solo uno dei più trattati e dibattuti in letteratura, è anche oramai una costante e quasi invadente presenza in numerosissimi contesti tecnici ed istituzionali legati al lavoro, all’apprendimento e al benessere delle persone. Oramai non ci si forma che per competenze, la scuola produce competenze, il lavoro si descrive e si organizza in competenze, le identità stesse delle comunità professionali, comprese le più antiche e legate alla tradizione corporativistica, si sorprendono a interrogarsi sulle proprie competenze. E’ da questa osservazione pratica che nasce e si dispiega il discorso del libro di Elisabetta Perulli. Il libro raccoglie la sfida di provare a disincagliare il concetto di ‘competenza’ dalle secche del dibattito scientifico, ma anche da quelle del senso comune che esso assume nei contesti d’uso per portarlo su un terreno meta-cognitivo e, in definitiva, quasi filosofico.