di Saveria Spezzano**
Direttore Generale Marco Villani, la abbiamo ascoltata in diverse occasioni dire che la riforma Brunetta è il passo decisivo di un percorso lungo e complesso, ce lo può spiegare?
Quando ha prodotto la legge 15/2009, il Parlamento ha fatto seguito a una serie di riforme che aveva creato un “fumus” positivo nella collettività e nel legislatore. Non a caso l’iter parlamentare è stato condiviso. L’esempio è quello di un barattolo con un gustoso antipasto in una cena: i vari commensali non riescono ad aprirlo, ma dopo i primi tentativi c’è chi, sfruttando la pressione fatta dagli altri, riesce nell’impresa. Allo stesso modo la riforma Brunetta segue tentativi precedenti: il Prof. Giannini, con il suo Rapporto sulla P.A., per primo ha intuito il cambiamento che si sta prospettando, rispetto ad una P.A. che vessava i cittadini con atteggiamenti autoreferenziali ed ingiustificabili, e ha indicato un nuovo approccio che rende il cittadino utente della P.A., obbligando l'apparato pubblico ad orientare la sua azione sui bisogni dei cittadini.
Strada facendo, prima Maurizio Sacconi accelera la via delle innovazioni con il D. Lgs. 29 del 1993 e poi il cattedratico allievo di Giannini, Sabino Cassese, Ministro della Funzione Pubblica a metà anni ’90, detta le linee di una riforma rivolta al cittadino: dalla domanda dei servizi all'articolazione delle risposte fino agli interventi per il personale pubblico. Si parla di "cittadinanza amministrativa" (Della Cananea) e si comincia a porre l‘attenzione sulla necessità di un vero e proprio "codice" dei rapporti fra cittadini ed amministrazione, ispirato - come notato da Sandulli – a 4 principi: partecipazione, semplificazione, garanzia del cittadino e trasparenza.
E’ lo stesso Cassese, però, a dover riconoscere che "l'opera avviata è in gran parte incompiuta". Il pessimismo sembra prendere il sopravvento ed il riformista Cassese sente il peso dell'inadeguatezza delle risposte realmente fornite per efficienza e trasparenza nel nostro Paese. E scrive: “Dicano pure, ora, i conservatori - invocando la natura degli uomini o la mollezza delle abitudini o la debolezza dei costumi - che questo è un sogno. L'autore conosce paesi dove questo è realizzato, perché allora non coltivarlo?“.
Dopo le leggi Bassanini e la Riforma del Titolo V della Costituzione, che ha prodotto accelerazioni e stop in un ambito sociale e politico più maturo, a raccogliere il sogno della sfida riformista è il Ministro Renato Brunetta, che scardina le porte della P.A. per aprirle a cittadini che ora sono visti come veri e propri clienti dei tanti servizi; una nuova P.A. che interagisce sul mercato ed è chiamata a rispondere secondo criteri economici di efficienza ed efficacia ed a rispondere delle prestazioni erogate.
E’ questo, quindi, il cittadino cliente, il vero grande cambiamento?
Si, con tutto quello che comporta: negli anni si è passati dal cittadino suddito, al cittadino utente e infine siamo arrivati al cittadino cliente: la P.A. si cala sul marciapiede del cittadino e interagisce come un’azienda privata che eroga servizi. Il funzionario pubblico da padrone della decisione di realizzare un atto oppure un altro è diventato erogatore di servizi che vengono richiesti, valutati e premiati. Ci si è resi conto della necessità, e la si pratica, di una strategia di cambiamento non concessa, illuministicamente octroyée, ma condivisa e partecipata, nella quale tutti i soggetti hanno voce in capitolo e ruolo. In tal modo, attraverso la compartecipazione alle scelte gestionali si ha la contezza del mondo in cui si opera.
E’ evidente come questo percorso non sarebbe possibile se non ci fossero stati prima – e alla base – interventi sulla dimensione normativa e giuridica: questi sono la condizione necessaria, ma non da sola sufficiente, dell’innovazione del sistema pubblico. Anzi, se la norma sterilizzata dal contesto è un fallimento annunciato, la norma calata in un contesto sociale preparato ad accoglierla e che la sente come propria e ne condivide gli ideali si fa norma materiale e produce i suoi effetti.
Quali sono gli strumenti per facilitare il percorso della riforma?
Abbiamo bisogno nell’Amministrazione pubblica di una qualificata leadership che partecipa come una propria esperienza il processo di riforma, vivendolo con spirito da protagonista, con capacità di coinvolgimento del gruppo di lavoro e di osmosi con gli altri gruppi affrontando ed eliminando le diverse problematiche.
Questa dote non è una ricchezza innata ma è il frutto delle capacità dei singoli calate nel lavoro quotidiano: è una sintesi delle conoscenze condivise con i gruppi di lavoro e trasmesse in maniera positiva e convinta ai propri collaboratori.
E’ evidente come questo processo non possa che basarsi e contare sulla capacità degli attori coinvolti di apprendere nuove modalità d’azione. Una capacità che per esser pienamente positiva deve essere espressa unitamente alla passione e ad ogni emozione utile per tradurre in atto le potenzialità del lavoratore.
Dobbiamo puntare sulle persone, sugli individui, sulle loro volontà, disponibilità, relazioni e intelligenze messe a disposizione ed usate per assicurare servizi e interventi di vera qualità.
Ma non crede che questa affermazione possa suscitare qualche scetticismo?
No, perché la volontà di completare il percorso è vivida: si misurerà e premierà questo approccio. Non abbiamo di fronte un informe capitale umano, ma ci basiamo su singole competenze che guidate e interrelate fanno la differenza. Non è un capitale, l’uomo, ma una risorsa ben diversa dai cespiti di un bilancio.
Le imprese da tempo spingono verso nuovi modelli di management basati sulla valorizzazione dell’autonomia individuale e delle relazioni. La Pubblica Amministrazione ha iniziato a farlo e il risultato si vede. Anche perché, per la prima volta, davvero, i cittadini sono coinvolti nel processo di valutazione della performance della pubblica amministrazione. Si moltiplicano, così, i punti di vista coinvolti nella valutazione: è questa una felice novità che l’attuale riforma si propone di veicolare. L’idea di restituire al cittadino la centralità che gli spetta in quanto destinatario ultimo dell’azione pubblica, mutuata dalla cultura della qualità e dei servizi, rappresenta un considerevole contributo al dibattito sul cambiamento.
Il cambiamento appare consistente?
Più che consistente, siamo di fronte ad un ribaltamento: la valutazione non è il prodotto di un calcolo ma è la risultante delle capacità di coinvolgimento dei propri collaboratori e della soddisfazione del cittadino/cliente che, non andrebbe mai dimenticato, è il contribuente.
L’intervento dei cittadini nel processo di valutazione consente di evidenziare la necessità di alcuni cambiamenti che investono la cultura del lavoro amministrativo e, in particolare, il versante dello sviluppo di competenze professionali appropriate. L’inserimento del cittadino nel processo di valutazione deve essere accompagnato da un’ampia riflessione volta a rafforzare i metodi disponibili e le relative pratiche. Deve esserci una ricerca sociale applicata ed orientata all’ascolto, che sostiene l’apertura dell’amministrazione e la sua fuoriuscita dall’eremo dell’autoreferenzialità.
La società è ora pronta a parlare con la PA, a reclamarne servizi ed assistenza, in una parola è pronta ad esprimere la “voice” hirshmaniana; ma se la P.A. non è formata all’ascolto e non assume atteggiamenti conseguenti, la frustrazione del cittadino si risolve in un fallimento peggiore della situazione da cui si è partiti. Per questo è necessario il supporto imperativo della legge dello Stato con le sue sanzioni.
E come viene realizzata questa valutazione?
La valutazione non è mai “uno specchio della realtà”; è, invece, un tentativo di giungere a una visione comune, provvisoria e necessaria per ricostruire il lavoro svolto, orientare le decisioni, riprogettare il futuro. Si dovrebbe, pertanto, arricchire l’obiettivo del mero dato numerico espresso da una rigorosa misurazione implementandola con il contributo del valore attribuito alla relazione prodotta da tale misurazione.
L’elemento determinante è costituito dalle risorse, non dagli obiettivi; la valutazione deve essere l’occasione obbligata dell’apprendimento del singolo e della struttura, nel suo complesso o nelle sue unità funzionali, e la principale fonte per il riconoscimento reciproco viene individuata nelle relazioni che si intessono. La valutazione utile ha quale primo effetto la formazione degli attori coinvolti, esaltandone tutti i loro talenti umani.
Scelta strategica è la ricerca di una crescita culturale che comporti un cambiamento reale nella società, e in tale prospettiva la valutazione non può essere relegata ad un mero simulacro frutto di una procedura, impolverata o meno; da procedimento obbligatorio a strumento virtuale di partecipazione alla vita della P.A., divenendo un indispensabile strumento gestionale.
Quali sono gli strumenti chiave di questa valutazione?
Occorre valorizzare la capacità di leadership aperta all’innovazione e volano del coinvolgimento interno per massimizzare il prodotto offerto all’esterno: una leadership, in gergo organizzativo, di capacità di direzione.
Si tratta di competenze che evidentemente sono riconosciute da un gruppo di riferimento ed esercitate in un contesto d’azione. La leadership si manifesta così come una rete di relazioni sociali complesse tra gli attori implicati, il cui fondamento è costituito dalla fiducia reciproca rispetto agli impegni assunti e dallo scambio tra il leader e quanti ne riconoscono il ruolo e la capacità.
Lo scambio produce effetti positivi quando si ferma di fronte al rischio di una sorta di abuso di “posizione dominante” del leader, che potrebbe realizzare interferenze distorsive in grado di soffocare capacità non pienamente espresse ed ancora non mature.
Inoltre, il riconoscimento positivo della gestione del leader da parte dei suoi collaboratori comporta, con buone probabilità, il potenziamento delle loro capacità con effetti, conseguentemente, migliorativi sulla produttività dell’intero sistema.
L’esperienza ed il portato professionale costituiscono la vite su cui si innestano, attraverso l’apprendimento, le competenze acquisite, in grado di sviluppare qualità di leadership che non sono innate ma sviluppate: in questo senso, le doti di equilibrio e di programmazione sono un esempio delle capacità acquisite nei contesti relazionali in cui ha maturato la sua esperienza.
Adam Smith, nel rispetto e nella tutela del mercato credeva nelle abilità umane e nella formazione. Competenze e capacità da sviluppare con la formazione per rispondere alle necessità di una variegata domanda propria di un mondo complesso, ora si deve dire globalizzato, con realtà emergenti che si affiancano alle vecchie locomotive economiche e lo sorpassano con innovazioni scientifiche e nuove abilità umane. Questa visione è stata una preziosa idea di Smith, che va ricordato anche per l’intuizione della necessità di uno spettatore “imparziale”, una persona esterna che arriva e osserva quel che sta accadendo; considera le diverse persone coinvolte e i loro interessi.
Ciò che pensa lo spettatore imparziale è un tema a cui si dovrebbe prestare attenzione: è un modo di introdurre il bisogno di impersonalità, il bisogno di compiere valutazioni morali andando oltre l’interesse personale. Uno “spettatore imparziale” potrebbe portare una nuova prospettiva in un ambiente viziato dalla condizione di persone che si trovano insieme al suo interno. Nella valutazione subentrano elementi empatici quale valore aggiunto, quale talento ulteriore di ogni addetto che è compito del valutatore porre in risalto, con un contributo intelligente e razionale in grado di far emergere anche il valore dei sentimenti applicati alle azioni.
Il valutatore indipendente misura il prodotto della P.A. in ragione dei bisogni e della capacità di soddisfare i desideri dei cittadini clienti.
Lo spettatore imparziale è un personaggio esterno e, come tale, libero da ogni influenza autoreferenziale, quindi può mettere a sistema esperienze di successo straniere ed a fattor comune culture dell’innovazione e del merito. Il risultato di altri diventa patrimonio comune.
Con la Riforma, con la definizione del Piano annuale di performance, il nostro paese si sta misurando con questo complesso ed articolato scenario che, finalmente, mette al centro il cittadino soddisfatto dalle prestazioni di un attore pubblico valutato differentemente, per le sue capacità, per le sue doti di abnegazione e per le sue passioni al servizio della collettività.
In questo spirito, la morte degli incentivi a pioggia è la vittoria della libertà che riconosce il merito.
*L’intervista è stata realizzata nel mese di giugno 2010
**Responsabile dell’Ufficio Attività Internazionali di Formez PA