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Gli sviluppi del progetto RIPAM nelle pubbliche amministrazioni che cambiano

Creato il:  28 Marzo 2017

di Rosario Maiorano

Il comune di Napoli il 29 marzo ha dato il via al percorso formativo di ulteriori 91 vigili urbani, attingendo alle graduatorie di idonei del concorso RIPAM Napoli del 2010, in cui furono messi a bando 534 posti. Quando nel 1996 il Comune di Napoli aderì per la prima volta al Corso-concorso Ripam, ci furono richiesti 111 i posti di Istruttore Amministrativo, che rappresentavano la maggior parte dei posti messi a concorso. Era il profilo base, la pedina fondamentale per la PA dell’epoca, una PA che si stava faticosamente avviando sulla strada della riforma e dell’innovazione.

Circa 15 anni dopo, con il Concorso-corso RIPAM Napoli, il 60% dei posti richiesti sempre dal Comune erano rappresentati da due profili professionali totalmente diversi: Assistente sociale, 165 posti, e Istruttore di Vigilanza, 170 posti (che poi si sarebbero più che raddoppiati con le successive assunzioni del 2014 e del 2016, arrivando ad oltre 350 unità).

Questo è il segno tangibile di una pubblica amministrazione, soprattutto locale, profondamente cambiata negli ultimi 20 anni, di una PA che non solo si sta trasformando in “casa di vetro” (sempre più trasparente e accessibile a tutti), ma in una casa di vetro che definirei “semi-vuota”, perché i suoi abitanti devono sempre più proiettarsi, anche fisicamente, nel territorio per essere più vicini ai cittadini, ed intercettarne i bisogni.

E’ un cambiamento che coincide con il ridimensionamento del cosiddetto “stato sociale”, ma anche con una più generale crisi di carattere socio-economico che investe tutta la nostra società e che non poteva non interessare profondamente una PA troppo a lungo inefficiente e, soprattutto nel Mezzogiorno, vero ammortizzatore sociale che creava soprattutto occupazione non produttiva.

In tale contesto gli Enti locali devono diventare i principali agenti di sviluppo del territorio, con compiti non più prevalentemente burocratici, ma di governo nel senso forte e nobile del termine, cioè di servizio alle comunità locali, soprattutto al loro anello debole, i giovani e gli esclusi.

Il nuovo quadro costituzionale pone alcuni problemi di fondo rispetto ai temi di esclusione sociale, dei diritti di cittadinanza, del binomio "solidarietà-eguaglianza" cui sembra gradualmente sostituirsi il binomio "libertà - competitività".  Sono problemi la cui concreta soluzione influenzerà il livello di vita dei cittadini più deboli ed il loro rapporto con il resto della popolazione. E non sempre le burocrazie regionali e locali hanno compreso il senso della grande trasformazione in atto, adeguando coerentemente l’insieme dei loro comportamenti alle nuove delicate funzioni assegnate al governo regionale e locale.

Anche lo Stato centrale si mostra in ritardo rispetto alla necessità di assicurare, in uno spirito di vera sussidiarietà, concreti strumenti (normativi ed finanziari) in grado di favorire la realizzazione di un “federalismo solidale” e non “competitivo”, frutto della eterogeneità e disuguaglianza delle risposte insite negli ordinamenti federali, che finirebbero, inevitabilmente, per premiare le autonomie più forti, accentuando il divario tra aree forti ed aree deboli del Paese.

Ma facendo di necessità virtù, la pubblica amministrazione locale può assumere oggi un ruolo determinante per dare una coraggiosa e drastica inversione di rotta al disastro umano e sociale al quale sembra essere condannato il Paese, e che probabilmente ha già intaccato vaste aree di territorio e intere comunità. Essa deve selezionare e formare una nuova generazione di funzionari pubblici in grado di contribuire a promuovere, nell’ambito del vasto processo di trasformazione dello Stato nazionale tumultuosamente e contraddittoriamente in atto, un modello di federalismo “educante e solidale”, vicino ai cittadini, e soprattutto ai giovani, capace di recuperare, almeno in parte, il ruolo che fu della “grandi agenzie educative” (Famiglia, Scuola, Partiti politici oggi profondamente in crisi) di promotrici e tutrici di valori etici e di moralità pubblica. Un ruolo che potrà ricoprire soprattutto se sarà capace essa stessa di farsi irradiare dalla dignità che deriva dall’essere funzionario pubblico.

Questa nuova generazione, alla quale voi appartenete, deve soprattutto comprendere che lavorare nella pubblica amministrazione non è tanto un’attività, un mestiere e neppure un servizio, è oggi, prima di tutto, una testimonianza della funzione sociale intrinseca che si svolge. Infatti lo spreco delle risorse, l’inefficienza, la corruzione e l’ipertrofia normativa, considerate tra i principali mali della nostra PA, sono strettamente correlate anche alla scarsa consapevolezza di ruolo, all’insufficiente senso dello Stato, al basso grado di identificazione dei dirigenti e dipendenti pubblici con la funzione, ovvero con la dignità che deriva dall’essere pubblico funzionario.

Eppure la nostra Costituzione definisce in maniera molto chiara il vostro, il nostro ruolo quando ci investe della responsabilità di assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione (art.97), esigendo che ci mettiamo al servizio esclusivo della Nazione (art.98), e richiamandoci al dovere di adempiere le nostre funzioni con disciplina ed onore (art.54). 

La riorganizzazione e la riforma delle pubbliche amministrazioni, il decentramento, la governance locale, l’attuazione del principio di sussidiarietà, possono, quindi, pienamente realizzarsi solo attraverso il coinvolgimento del personale e il suo costante aggiornamento.

Le attività formative devono rispondere a determinati livelli quali-quantitativi, devono vedere impegnate tutte le amministrazioni nella ricerca e messa a disposizione di adeguate risorse finanziarie, devono contribuire a promuovere il controllo del raggiungimento di elevati standard qualitativi delle prestazioni professionali e quindi dei servizi assicurati a tutti i cittadini.

So che a molti di voi non piace essere chiamati Vigili Urbani, e i vostri colleghi degli altri corsi che abbiano tenuto, qualche volta mi hanno anche tirato le orecchie per questo, perfino i codice del vostro concordo (VG6/N) è stato oggetto di qualche battuta, ma mi dovete consentire una brevissima riflessione proprio sul significato nobile dal verbo “vigilare” che è direttamente connesso al termine “visione”.

Ci sono classicamente tre dimensioni o livelli di visione:

  •        ci si può fermare a guardare con i sensi (il verbo greco “blepo”), cioè vedo con gli occhi, percepisco materialmente un volto, un evento, un oggetto;
  •        ci si può soffermare, più dettagliatamente, alla osservazione, dal verbo greco “Theoreo”, cioè vedo con la testa, con gli occhi della mente, e cerco di capire cosa sta accadendo intorno a me perché possa interrogarmi e adottare una decisione, una linea di condotta, un provvedimento adeguato;
  •        poi c’è il terzo livello quello che a voi non è richiesto contrattualmente di raggiungere o applicare, quello che non vi farà avere scatti di carriera o progressioni economiche: è vedere veramente, è osservare con gli occhi del cuore, in greco “orao”, cioè contemplo il significato nascosto ed oltre ciò che materialmente accade, per scorgere la verità.
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Data pubblicazione: 
Giovedì, 13 Luglio, 2017 - 12:29